A banda stretta
L'importanza che ha un cielo scuro per l'astrofotografo è fuori discussione, indipendentemente dal soggetto che si vuol riprendere e dalla strumentazione utilizzata; alcuni soggetti saranno sicuramente più influenzati dalla presenza d'inquinamento luminoso rispetto ad altri, soprattutto quando parliamo di galassie, nebulose oscure ed oggetti deboli in genere: la qualità del cielo determinerà la nostra capacità, fotografica e visuale, di "staccarli" dallo sfondo. La post-produzione e le tecniche di elaborazione delle immagini non possono fare miracoli quando applicate ad immagini grezze scadenti, e questa è una lezione che s'impara presto, a proprie spese, sprecando ore sotto alle stelle e fatica davanti allo schermo.
Tuttavia esistono oggetti del cosmo che, per loro stessa natura, possono essere ripresi anche sotto i peggiori cieli inquinati, e la cui luce può essere letteralmente filtrata dal chiarore di fondo risultante dalle lunghe pose: si tratta in massima parte di nebulose ad emissione e nebulose planetarie, ed i gas che le compongono non si limitano a riflettere la luce delle stelle che li illuminano, ma bensì la emettono essi stessi a seguito di eccitazione causata dall'energia di stelle ed ammassi stellari, esattamente come fanno i gas contenuti nelle nostre insegne al neon.
Le lunghezze d'onda dei filtri a banda stretta Optolong
Ogni gas ionizzato emette luce ad una propria lunghezza d'onda tipica, ed utilizzando un filtro che lasci passare solo quella specifica lunghezza d'onda, consente di "tagliar via" tutto il resto, tra cui (ovviamente) le lunghezze d'onda dell'inquinamento luminoso. Trattandosi di una tecnica "sottrattiva" dovuta appunto all'utilizzo di uno o più filtri, le pose dovranno necessariamente essere più lunghe. I gas più comuni nelle nebulose ad emissione sono sempre l'idrogeno (H-Alpha, che emette nelle lunghezze d'onda del rosso) e l'ossigeno (OIII, che emette nel blu); altri elementi, come per esempio lo zolfo (SII) o il nitrogeno N, possono contribuire ed essere filtrati ed utilizzati per creare una ripresa in falsi colori, con palette di vario tipo.
La Nebulosa Manubrio (Messier 27)
Uno dei soggetti classici per la ripresa a banda stretta, si trova nella costellazione della Vulpecula, ed è la nebulosa planetaria più vicina ed apparentemente più grande che possiamo osservare e fotografare; è detta anche nebulosa Manubrio a causa dell'aspetto che mostrava nelle fotografie a lunga posa di venti o trent'anni fa: oggi la tecnologia ha fatto passi da gigante, ed è possibile evidenziare ben altre strutture, più deboli e periferiche, che la fanno assomigliare piuttosto ad una farfalla.
Il mio intento era proprio quello di riuscire ad evidenziarne le parti più esterne e delicate, nonostante riprendessi dal cielo di città, con un evidente inquinamento luminoso. Per ottenere, poi, un'immagine a colori di grande impatto, avrei dovuto utilizzare almeno due filtri diversi: il filtro H-Alpha per le lunghezze d'onda rosse, ed il filtro OIII per quelle blu. In fase di post-processing avrei creato un canale verde "sintetico" miscelando opportunamente le due precedenti riprese, ed avrei così ricreato una palette RGB in falsi colori ma simile alla visione reale che si avrebbe osservandola nell'oculare.
Tale tecnica è detta "Bicolor Narrowband" (Bicolore a banda stretta), e viene effettuata sempre con Ha ed OIII.
Il soggetto ha dimensioni angolari tali da richiedere una focale piuttosto lunga per riprenderlo in dettaglio e questo mi ha spinto ad utilizzare il Celestron C9.25 ridotto ad f/6.3, in mio possesso; vista la focale in gioco (1480 mm) ed i tempi di ogni singola posa (5 o 10 minuti) è stato necessario ottimizzare al meglio il setup con un buon allineamento polare ed il software di autoguida PHD2 Guiding, pena immagini mosse ed inutilizzabili.
La risultante della somma di 47 pose da 600" con il filtro H-Alpha
La risultante della somma di 125 pose da 300" con il filtro OIII
Le due immagini sopra, mostrano bene come l'utilizzo di filtri diversi evidenzi strutture differenti dello stesso soggetto; appare anche evidente come le lunghezze d'onda nella zona rossa dello spettro elettromagnetico siano meno influenzate dall'inquinamento luminoso: il filtro OIII funziona comunque bene, ma fornisce sempre un contrasto decisamente inferiore rispetto all'H-Alpha, ed impone maggiori limiti ai tempi di esposizione. Per entrambe le riprese si tratta di numerose pose, acquisiste in svariate serate, per un totale complessivo di 18,5 ore d'integrazione: questo ha consentito di migliorare al massimo il rapporto tra segnale registrato e rumore di fondo (comunque presente!) e mi ha permesso una elaborazione più spinta che evidenziasse le regioni più deboli della nebulosa.
La fase di elaborazione
Per creare l'immagine a colori partendo dai due canali in bianco e nero è possibile utilizzare software come Photoshop, se si ha dimestichezza minima con la fusione dei livelli ed i canali colore, o altri molto più specifici come Pixinsight; entrambi andranno istruiti su come creare il terzo canale colore, il verde sintetico, miscelando gli altri due: non esistono regole, tenuto conto che l'immagine finale sarà sempre a falsi colori e non avrà velleità scientifiche, ma il solo scopo di mostrare al meglio le strutture della nebulosa. Andando per tentativi ho ottenuto un bilanciamento colore che mi ha soddisfatto, miscelando Ha ed OIII in proporzione 30/70, per una R(G)B dai toni gradevoli e realistici.
La prima versione bicolore narrowband, così come uscita dal software Pixinsight
Una volta caricata la bicolore "base" in Photoshop ho provveduto, tramite l'utilizzo degli strumenti "Valori Tonali" e "Curve", a bilanciare il tono della nebulosa e del fondocielo, oltre (ovviamente) a stretchare per quanto possibile il segnale ed evidenziare così le regioni più deboli. Come nell'elaborazione di qualunque immagine astronomica si tratta sempre di trovare un giusto compromesso tra rumore di fondo, estrazione del segnale e bilanciamento del colore: poter disporre di oltre 18 ore d'integrazione totale ha sicuramente rappresentato un vantaggio.
La regione centrale di M27 ha poi subito un trattamento dedicato, a causa della forte differenza di luminosità rispetto alle zone più deboli: sistemate quest'ultime ho provveduto ad evidenziare i globuli gassosi del nucleo con una elaborazione di tipo HDR, da mettere in campo quando si ha a disposizione un rapporto segnale/rumore elevatissimo in zone ad elevata luminosità. Gli ultimi ritocchi hanno riguardato una rotazione di 180 gradi, la saturazione, il taglio delle parti più esterne del frame, dove le stelle prodotte dal C9.25 soffrivano maggiormente le distorsioni causate dall'ottica, ed una leggera maschera di contrasto.
Il risultato finale è visibile nell'immagine qui sotto: altri avrebbero spinto più o meno il segnale acquisito, ma qui entrano in gioco anche fattori di gusto personale in quanto a tolleranza del rumore, bilanciamento colore e nitidezza ricercata.
"The Space Butterfly"
Una M27 così estesa e ricca di dettaglio era, per gli astrofotografi amatoriali, semplicemente impossibile da ottenere anche solo 10-15 anni fa: i nuovi sensori, sia CCD che CMOS, i nuovi filtri a banda stretta ed ultra-stretta, ed i software per la somma e l'elaborazione delle immagini digitali consentono oggi una ripresa del genere anche da cieli cittadini, a patto che l'integrazione totale sia piuttosto "sostanziosa" e che il soggetto si presti come M27.